Il Palazzo Farnese di Caprarola sorge su una collina alle falde dei Monti Cimini, in posizione dominante rispetto all’abitato ed all’ampia distesa dei territori che lo separano da Roma. L’enorme mole dell’edificio, il suo rapporto con il paesaggio e con il borgo ne fanno immediatamente il segno tangibile del potere di una famiglia che è annoverata tra i protagonisti della storia del sedicesimo secolo. Le forme con cui si presenta non permettono di inquadrarlo immediatamente in una tipologia definita. Ora fortezza, ora palazzo, ora villa suburbana, è il risultato della stratificazione di due fasi costruttive distinte.
L’edificio fu iniziato negli anni Venti del Cinquecento per volere del cardinale Alessandro Farnese, esponente di spicco di una famiglia che all’epoca controllava l’intera sponda occidentale del lago di Bolsena e futuro papa Paolo III. Spinto da mire espansionistiche, questi aveva acquistato nel 1504 i diritti sulla terra di Caprarola e, dopo averne fatto investire i figli nel 1521, aveva deciso di edificarvi una fortezza. Progettata da Antonio da Sangallo il Giovane e Baldassarre Peruzzi, fu concepita per resistere all’attacco delle armi da fuoco, secondo i dettami della “nuova maniera”. La costruzione, di forma pentagonale, con muri a scarpa, poderosi bastioni angolari e fossato, fu realizzata per il solo perimetro esterno e, quindi, abbandonata intorno al 1534, in concomitanza con la nomina a pontefice del committente.
La ripresa dei lavori sarà promossa circa vent’anni dopo da un altro Alessandro, il nipote maggiore del papa, da lui precocemente elevato alla porpora. Ricco, colto e potente tanto da essere conosciuto come “il gran cardinale”, volle fare della fortezza del nonno una residenza sontuosa e magnifica, specchio delle mutate sorti farnesiane.
Tra il 1556 ed il 1558 Jacopo Barozzi da Vignola lavorò al progetto per conto del cardinale, che aveva richiesto disegni anche a Nanni di Baccio Bigio, allievo del Sangallo e a Francesco Paciotto. Il 28 aprile 1559 diede inizio ai lavori di muratura e nel 1573, anno della sua morte, l’edificio risultava pressoché completato. Celebratissimo in tutte le epoche, è considerato il suo capolavoro.
Il grande prisma pentagonale costruito dal Vignola si pone come fondale di una lunga strada diritta che si diparte salendo dai piedi dell’abitato. Il rettifilo, ricavato dal Barozzi sottoponendo il borgo preesistente a radicale ristrutturazione, ha valore prospettico e cerimoniale e misura tutta la distanza esistente, in termini di potere e dominio, tra l’inquilino del Palazzo e gli abitanti del paese. Per questi valori scenografici l’architettura di Vignola sembra anticipare il Barocco e per le finalità di esaltazione del potere assoluto che si propone, sembra anticipare il tema architettonico della “reggia” che sarà sviluppato nei secoli seguenti.
Alla fine del rettifilo, l’ingresso al Palazzo si guadagna solo dopo aver superato ancora due sistemi di scale – il primo a “tenaglia”, il secondo a doppie rampe rettilinee contrapposte – ed un grande piazzale trapezoidale.
La facciata, con il suo sviluppo verticale, la loggia centrale e le terrazze laterali, ottenute tagliando i bastioni preesistenti, ben esemplifica l’abilità del Vignola nell’opera di trasformazione della fortezza originaria. Sono state significativamente notate delle somiglianze con il Palazzo della Cancelleria, dove il cardinale Alessandro abitualmente dimorava in qualità di vicecancelliere.

stanza del Mappamondo



Il Palazzo è dotato di un parco e di vasti giardini che rivestono una notevole importanza storico-artistica, sia sotto l’aspetto naturalistico che per la spettacolarità delle loro fontane.
